(Money.it) La normativa sulle pensioni riconosce particolari tutele a coloro che a causa di una menomazione fisica o psichica hanno una capacità lavorativa ridotta. In particolare a questi è riconosciuto l’accesso alla pensione con pochi anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica.
Nel dettaglio, due sono le misure a cui possono ricorrere: l’assegno ordinario d’invalidità (Aoi) – a cui è dedicata questa guida – e la pensione d’inabilità previdenziale
Il primo strumento è riservato a quei lavoratori – sia dipendenti che autonomi – con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore a 2/3, quindi agli invalidi solamente parziali.
Regolato dalla legge n. 22/1984, l’assegno ordinario d’invalidità si colloca quindi nella platea di strumenti rivolti a coloro che hanno un’invalidità riconosciuta. Da non confondere però con le prestazioni assistenziali riconosciute in favore degli invalidi civili; l’Aoi, infatti, appartiene alla categoria delle prestazioni previdenziali, riconosciute in presenza di una certa anzianità contributiva a chi è impegnato in un’attività lavorativa, precisamente pari a 5 anni di cui almeno 3 maturati nel quinquennio che precede la domanda.
Vista l’importanza di questo strumento è bene approfondirne il funzionamento. Anche perché, va detto che scegliere di fruire dell’assegno ordinario d’invalidità può avere ripercussioni sulla pensione futura. Vediamo nel dettaglio quali sono gli importi dell’assegno e chi lo può richiedere.
Requisiti
Per richiedere l’assegno ordinario di invalidità è necessario soddisfare alcuni requisiti:
- uno di tipo contributivo, cioè avere versato una contribuzione non inferiore ai 5 anni (260 contributi settimanali), 3 anni (156 settimanali) dei quali accreditati nell’ultimo quinquennio;
- uno di tipo medico legale, cioè avere una capacità lavorativa ridotta di almeno 2/3 per effetto del proprio handicap psico-fisico. La riduzione deve essere permanente.
Per quanto riguarda il requisito medico legale, però, ci sono delle precisazioni da fare. Ad esempio, più volte la Cassazione ha stabilito che per quantificare la riduzione della capacità lavorativa non è possibile utilizzare le tabelle previste per la valutazione dell’invalidità civile dal momento che queste servono per valutare una diminuzione generica delle capacità lavorative dell’interessato.
Invece, per l’assegno ordinario di invalidità bisogna procedere con un’analisi congiunta dell’attività lavorativa effettuata e delle capacità del lavoratore. Perciò, si tratta di una valutazione soggettiva e non oggettiva. Un aspetto, questo, che chiariremo meglio nel paragrafo successivo.
Per quanto riguarda il requisito contributivo, invece, bisogna sottolineare che nel calcolo dei 5 anni di contributi richiesti non si contano i periodi facenti riferimento a:
- congedo parentale;
- lavoro all’estero non protetti agli effetti delle assicurazioni interessati in base a convenzioni o accordi internazionali;
- servizio militare eccedente al servizio di leva;
- periodo di malattia successivo a un anno;
- periodi d’iscrizione a forme di previdenza obbligatoria differenti da quelle assicurative IVS per le quali si stabilisce altro trattamento obbligatorio di previdenza nel caso in cui non diano luogo a corresponsione della pensione.
Questi periodi, ai fini del calcolo del requisito contributivo, si considerano come neutri.
Quando non è sufficiente il 67% d’invalidità
Come abbiamo appena visto, per il diritto all’assegno ordinario d’invalidità a volte essere invalidi al 67% non è sufficiente. L’invalidità civile al 67%, infatti, prevede la riduzione della capacità lavorativa generale ma non specifica.
Mentre il riconoscimento dell’invalidità civile tiene conto di tabelle che si basano sull’eventuale diminuzione della capacità lavorativa generica, il riconoscimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità si basa sulla misurazione della capacità lavorativa riferita alle attitudini specifiche di chi lo richiede.
Per assurdo, quindi, due individui con la stessa menomazione, ma con due mestieri diversi, possono trovarsi nella condizione che a uno venga riconosciuto il diritto ma all’altro no. Questo perché, ad esempio, la mancanza degli arti inferiori è determinante nella capacità lavorativa di un magazziniere o di un operatore ecologico, un muratore, ma non lo è per un impiegato, un grafico o un dattilografo.
La riduzione della capacità lavorativa, quindi, deve essere valutata in base alla professione svolta, poiché in alcuni casi la patologia invalidante, pur dando diritto a una percentuale d’invalidità, non riduce la capacità lavorativa del richiedente.
Tutto dipende, quindi, dalla professione svolta e da q
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