Guerra e pandemia: come affrontare psicologicamente la paura

Di Valentina Ambrosetti 4 minuti di lettura
Wall Street

In questi tempi difficili, dobbiamo essere consapevoli che la pace e l’armonia prevarranno. L’ottimismo realistico dovrebbe guidarci ora.

Le guerre, così come le epidemie ei disastri ambientali, hanno sempre avuto conseguenze geografiche, politiche, sociali e psicologiche. Ad esempio, la pandemia di Covid-19 ha avuto un forte impatto non solo sull’economia globale, ma anche sulla sfera mentale e psicologica di intere nazioni: secondo gli ultimi dati epidemiologici, il 31% della popolazione mondiale ha sintomi depressivi, 29% tipo ansioso e 32% stress psicologico.

Ma, come sempre, sono i più giovani a pagare il prezzo più alto: secondo l’ultimo rapporto mondiale dell’UNICEF, un minore su tre nel mondo è in stato di disagio psicologico, uno su cinque ha sintomi depressivi e uno su sette avere una patologia mentale strutturata. Questi dati suggeriscono che la malattia mentale sia diffusa in Italia e nel resto del mondo, ulteriormente aggravata dallo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia.

In che modo il mix di guerra e pandemia aggraverà ulteriormente lo stato psicologico degli italiani? Che ruolo giocano i media nel promuovere emozioni e preoccupazioni negative? E come affrontare la paura di una guerra che potrebbe avvicinarci ancora di più?

Il mix di guerra e pandemia provoca un enorme stress. Lo stress è una stimolazione dei sistemi neurobiologici umani che servono a salvare vite e sfuggire al pericolo. Due anni di pandemia e ora la notizia della guerra aggrava drammaticamente lo stato di stress cronico degli italiani. Questo perché in una situazione come quella che stiamo vivendo, in cui non possiamo attaccare o sfuggire allo stimolo stressante, lo stress acuto diventa stress cronico e diventa sintomatico. Tra i sintomi principali vi sono insonnia intermittente, irrequietezza diurna, perdita o aumento dell’appetito, stati di ansia che si scaricano nell’organismo e, di conseguenza, aumento delle esperienze ipocondriache. Questi sintomi hanno conseguenze diverse a seconda dei profili di personalità delle persone.

I profili di personalità più vulnerabili sono quelli più esposti a stress e traumi passati, più associati a condizioni di maturazione psicosociale insoddisfacenti o inadeguate. Prendiamo, ad esempio, la prima e la tarda infanzia, i disoccupati, le famiglie monoreddito, le famiglie madre e figlio. In questi soggetti, i fattori di comorbidità esacerbano i sintomi e quindi l’entità degli effetti dello stress cronico.

Il burnout è la cosiddetta sindrome da stanchezza, una sindrome da esaurimento delle risorse fisiche disponibili. Si tratta di uno stato di marcato squilibrio tra le risorse disponibili e le attività da portare a termine. Il burnout si verifica quando ci sono troppe attività da completare, ma sono disponibili troppe poche risorse per completare quelle attività, che però possono essere causate anche nella situazione opposta, cioè quando vi è un eccesso di risorse rispetto alle attività Una persona che soffre di burnout si sente demotivata, si sente “bruciata” (come dicono gli inglesi), si sente demotivata, vittima del disorientamento, dell’ansia, in un ritiro autistico in se stesso con la conseguente perdita di motivazione, di relazioni e, in i casi più estremi, perdita di identità (che vanno dal lavoro all’identità personale).

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